L’interesse per la pittura del manierismo a Mantova ha preso da qualche tempo nuovo impulso per merito di Stefano L’Occaso. Oltre alle figure meglio documentate degli artisti del tardo Cinquecento e del primo Seicento – Lorenzo Costa il Giovane, Teodoro Ghisi, Ippolito Andreasi, Bernardino Malpizzi – gli studi si sono spinti a ridefinire altre personalità meno note, vissute all’ombra di Giulio Romano quando tutte le attenzioni erano concentrate sull’allievo di Raffaello e poca visibilità era concessa a coloro che spesso ingenerosamente erano definiti suoi epigoni, privi di individualità, meri esecutori delle concezioni del maestro. Su alcuni di loro inoltre si era accanito il destino di una vita breve, lasciando poche e incerte tracce documentarie delle loro opere. La realtà si è rivelata in parte diversa e qualche sorpresa è venuta dall’indagine amorosa che con faticoso lavoro d’archivio e nuove considerazioni consente ora di avere una conoscenza meno approssimata di Ippolito Costa, Rinaldo Mantovano, Benedetto Pagni. Con questo suo nuovo lavoro L’Occaso ci consegna una ricostruzione della biografia di Anselmo Guazzi. La documentazione, accuratamente rivista e integrata, aggiunge qualche dettaglio al suo modo di operare e soprattutto suggerisce un’indipendenza imprenditoriale, che già il congruo compenso con cui nel 1544 il priore di Polirone l’aveva gratificato lasciava intuire. Ma è la rilettura di dipinti murali e quadri d’altare raffrontate agli affreschi della chiesa abbaziale di San Benedetto Po che riserva maggiori novità risolvendo dibattute questioni attributive.
Le pale di Sant’Egidio e di Ognissanti, per le quali la tradizione indicava i nomi di Benedetto Pagni, e alternativamente di Teodoro Ghisi e Ippolito Andreasi sono state convincentemente riunite sotto il suo nome, così come negli affreschi del salone di palazzo Aldegatti si è visto il suo intervento, lasciato incompiuto forse alla sua morte nel 1553, e verosimilmente seguito dal completamento di Giulio Campi. Non si può tuttavia escludere che Guazzi abbia lavorato in contemporanea col pittore cremonese: certo, forse in una precedente occasione, come si dovrebbe intendere da un pagamento del 1543, operò in un luogo – la Rustica di Palazzo Ducale – dove è stata identificata la mano di Giulio Campi. È un dato di fatto che alla scomparsa di Giulio Romano gli allievi hanno cercato altre vie, pur conservando quell’impronta giuliesca che caratterizzerà tutta la pittura mantovana del secolo. Anselmo Guazzi non fece in tempo a meditare le varie maniere proposte dai pittori di Parma, Cremona e Verona riuniti attorno a Giovan Battista Bertani per dotare di pale la cattedrale e la sua produzione resterà ancorata ai motivi decorativi di Palazzo Te, con una traduzione forse arcaizzante, ma con felicità cromatica che rimanda alla fase “alessandrina” delle invenzioni di Giulio degli anni Trenta. L’Occaso lascia infine intravedere un rapporto di Guazzi con l’architetto Pompeo Pedemonte, che, come certifica un documento era certamente in relazione con lui. Sebbene mai gratificato del titolo di Prefetto delle Fabbriche, anche Pedemonte rientra nel novero di quegli architetti-pittori – pittore è qualificato in diverse carte d’archivio – che frequentarono la corte di Mantova nel corso del Cinquecento, da Giulio Romano ad Antonio Maria Viani: se si escludono i casi delle maggiori personalità, ben poco si sa di certo della loro attività pittorica. L’ipotesi che prospetta Pompeo Pedemonte quale autore delle gradinate scenografiche dipinte nella sala di palazzo Aldegatti sembra indicare una nuova linea di ricerca.
Genere | Saggistica |
Collana | Protagonisti |
Pagine | 94 |
Formato | 21x15 cm brossura |
Anno di edizione | 2012 |
ISBN | 978-88-907910-1-7 |
Prezzo
Saggistica
Saggistica